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Interviste
Sonar GS Open
 
10/11/2003
Intervista a Catia Chiavarini, vincitrice del Sonar GS Open 2003.
 
D. La sceneggiatura rivela un'attenzione non superficiale per il mondo della navigazione. Ci sono termini tecnici e osservazioni dettagliate che solo chi è pratico di quello sport conosce.
Quali sono le fonti della tua storia, hai fatto ricerche o esperienze dirette? Come nasce "Al di là del limite"?

- “Al di là del limite” è nata qualche anno fa, dall’esigenza di sviluppare una sceneggiatura, come lavoro finale al corso di scrittura creativa, a cui partecipavo. Il problema quando si vuole scrivere qualcosa è trovare l’idea e in quel momento ne avevo tante e nessuna. Per ognuna c’è il suo tempo. Mentre leggevo un libro di Linda Seger sull’argomento, in cui si spiega di attingere ad esempio alle proprie passioni, di prendere semplicemente in esame un argomento che si conosce bene e di drammatizzarlo, mi sono ricordata. Era il marzo del 1988. Qualcuno mi aveva dispiegato fra le mani una carta nautica, dato una squadra, un compasso, una matita e mi aveva detto di tracciare una rotta. Non ne avevo la minima idea. Un mondo completamente nuovo, per il quale è stato addirittura inventato un vocabolario a sé, pieno di termini sconosciuti al linguaggio corrente. Un mondo diverso. Quando sei in mare aperto non hai punti di riferimento. Quando c’è vento senti solo la sua spinta sulle vele, sullo scafo. E questo per me è l’aspetto romantico, più interiore, della vela, fatto di silenzi. Poi c’è quello più eccitante dell’urlo, delle regate, della competizione, perchè la vela è anche uno sport e credo che in Italia non si sia mai scritto soggetti su questa disciplina. Per questa passione riposta, visto che non pratico la vela, se non occasionalmente da “ospite”, mi è venuta l’idea e la voglia di raccontare. Quindi un po’ aiutata da una sorta di manuale delle giovani marmotte, ed un po’ scavando nelle reminescenze pratiche di quel lontano ottantotto, ho tirato fuori la parte tecnica della storia. Con fatti di cronaca alla mano per quel tipo di sciagura: il naufragio in mare. Con il pensiero rivolto a coloro che nella tragedia, sono sopravvissuti ad amici o ai propri cari.

D. In "Al di là del limite" uno dei protagonisti è il mare, o meglio il mare è l'antagonista degli "eroi" del "Voltascirocco".
Mentre la letteratura, la poesia italiana ha dato tantissimo spazio al mare, sono pochi i film italiani in cui il mare è così centrale nell'ambientazione. Perchè seconde te e ci sono dei film o delle storie che ti hanno aiutato nella scrittura?

- La vela senza il mare non potrebbe esistere. Questo elemento soggetto a tutte le influenze meteorologiche, assai incostante, capriccioso, è un elemento di tutto rispetto perchè più forte di noi, diventando appunto quando ci si spinge allo stremo, un nemico. Vorrei riprendere la riflessione di un famoso architetto, Le Corbusier, che mi è rimasta stampata nella memoria dagli anni universitari, quando parla della pianta, intesa come segno architettonico naturalmente, generatrice fondamentale di un progetto “Una pianta non è bella da disegnare come il volto di una madonna”. Forse, per la letteratura, la poesia, anche il teatro, misurarsi con il mare a parole è più “facile” viste le suggestioni intime, i sentimenti più contrastanti che l’elemento acqua richiama, con le immagini risulta più problematico, più rischioso da realizzare con i mezzi di cui il cinema italiano dispone. O forse nonostante siamo stati un popolo di navigatori, il mare come pro-antagonista, c’interessa poco, non saprei come valutare il fatto che ci siano pochi precedenti sull’argomento. Quando ho scritto questa storia l’ho fatto con puro egoismo, non pensando a tutte le implicazioni pratiche a cui andavo incontro (visto che lo sceneggiatore, e soprattutto lo sceneggiatore italiano, e soprattutto lo sceneggiatore esordiente, un occhio alla fattibilità del suo progetto lo deve buttare), per l’esigenza di confrontare l’uomo con il mare. Storie incredibili, veramente accadute, tratte dalla cronaca dei giornali, sono le uniche che mi hanno aiutato. Solo in un secondo tempo, ho saputo dell’esistenza di un film simile di Ridley Scott “White Squall- L’albatross” sulla cui struttura drammatica avrei potuto muovermi. Ma non mi dimenticherò mai che il mare ha una sua voce e fa hasch hasch hasch (Jane Campion in “Un angelo alla mia tavola”).

D. Mi ha colpito molto la presenza marginale di figure femminili nella tua storia, a parte Elena, che comunque è un personaggio secondario, i protagonisti sono tutti uomini, è una scelta dettata dal tipo di storia oppure una tua attitudine? Come lavora una donna alla creazione di un personaggio maschile?

- In questo caso è una scelta dettata dal tipo di storia, anche se esistono equipaggi esclusivamente femminili che affrontano le regate d’altura. Adesso che mi ci fai pensare, è vero ho scritto altre cose (soprattutto sceneggiature di corti per vari concorsi), aventi come protagonisti predominanti delle figure maschili. Quello che invidio e allo stesso tempo mi urta un po’ negli uomini, è quel forte senso di cameratismo che sviluppano fra loro. Per cui mi piace trattare l’amicizia al maschile. È difficile, ma stimolante mettersi nei panni di un uomo-personaggio e cercare di capire le sue intenzioni. Perché l’uomo, quello in carne ed ossa questa volta, come per la vela, ha bisogno del glossario per essere interpretato e consultandolo va a finire che impari qualcosa di nuovo. Nell’inventarlo un personaggio maschile, provo a confrontarlo, a sfidarlo, mettendogli davanti qualcosa d’appetibile, per vedere come va a finire. Oppure perdo la testa per lui, così mi fa fare quello che vuole, si ribella, evolve, si trasfigura. Ruben, il protagonista di Al di là… per esempio, ha iniziato a bere senza il mio permesso, un pomeriggio mentre ascoltavo musica. Me li provo ad immaginare questi uomini, tratteggiati a china come fossero dei fumetti, tanti Corto Maltese con il bavero alzato e la sigaretta fra le labbra. Comunque non c’è una regola in generale, qualche volta me li cerco semplicemente fra gli amici; i più pittoreschi, i più esagerati sono una fonte inesauribile d’ispirazione e poi li rielaboro.

D. Quanto ha influito nella scelta del tuo soggetto lo spazio che la vela che ha saputo ritagliarsi sui media negli ultimi anni (penso alla Coppa America per esempio e alla possibilità che si svolga a Napoli) diventando quindi un tema che "interessa", e quanto invece la tua storia nasce da una tua reale esigenza interiore di narrare quella storia.

- Come detto anche sopra, ho solo risfoderato una mia vecchia passione e attinto ad un fatto di cronaca che mi aveva veramente colpito. L’interesse per la vela, come sport, va a singhiozzo e arriva ogni tre anni, in cui addirittura la gente si sveglia di notte o all’alba per seguire le regate, nel caso di diverso fuso orario, come concede, con più costanza però, solo alla Ferrari. Termini marinareschi sulla bocca di tutti, tutti si animano e tifano (e questo è anche bello), poi più nulla, fino alla prossima Coppa. Per la maggior parte, vela è uguale a Coppa America e basta.

D. La sceneggiatura è solo una passione per te, o vorresti che diventasse un mestiere? E quali sono i tuoi prossimi progetti?

- Vorrei che diventasse un'appassionante mestiere, allargato magari anche alla narrativa. Non so se accadrà nella seconda parte della mia vita o mai, quello che posso fare io ora è scrivere, perché questo è quello che mi piace fare.
 
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