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Interviste
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Giovani Sceneggiatori 2001
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09/04/2003
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Intervista a Francesca Fornario, vincitrice dell'edizione 2001 con Il tempo di morire.
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D. Nella nota biografica che accompagna la sceneggiatura sul
sito (vai alla sezione Sceneggiature, n.d.r.)
ti fermi abbastanza presto, praticamente all'asilo, qual è
stata successivamente la tua formazione professionale, come ti
sei avvicinata alla sceneggiatura e alla tecnica dello scrivere per
immagini?
Mi sono fermata all'asilo per onestà intellettuale: della mia laurea in
scienze delle comunicazioni non ricordo praticamente nulla, se si
escludono vaghe reminescenze circa Adorno e la sua Teoria della
Personalità Autoritaria, argomento sfortunatamente poco spendibile
nella vita professionale e nelle conversazioni mondane, a meno che
non sei una Pianista repressa e ninfomane che se la fa con i
minorenni (e non è il mio caso, in quanto non so leggere le note).
C'erano due indirizzi, uno in marketing e uno in giornalismo.
Scegliere tra due cose sbagliate è la mia specialità, e siccome avevo
letto Dilbert di Scott Adams ho scelto di fare la giornalista (Nessuno
può prendere sul serio il marketing dopo aver letto i fumetti di Scott
Adams, sarebbe come scrivere un film su Freud dopo aver visto
Sogni d'Oro di Moretti). Mi sono trasferita a Milano e ho
collaborato con un po' di giornali. Un giorno ho incontrato un'amica
che conosceva un amico che conosceva uno che il cugino faceva
cartoni animati, o roba del genere, e che cercava su soggetto per un
cartone animato per bimbi piccoli. Ho disegnato la Stella Martina,
storia di una stella che ha paura del buio e allora va in giro di giorno,
e venduto il mio primo soggetto, credendo che vendere soggetti fosse
più facile che vendere articoli. Ovviamente mi sbagliavo, ma questa,
immagino, è la risposta alla seconda domanda.
Saltando qualche passaggio, il resto lo devo al mio maestro Ugo
Pirro, che mi ha raccontato una cosa che tutti i giornalisti aspiranti
sceneggiatori vorrebbero sapere. Dopo la guerra lui era un giovane
volenteroso e squattrinato che collaborava con tutta la stampa di
sinistra. Un collega del Manifesto, a pranzo, gli racconta di aver
intervistato Di Vittorio, primo segretario della Ggil, altro volenteroso
e squattrinato. Volenteroso al punto che voleva imparare a leggere e
scrivere per fare il sindacalista, squattrinato al punto che non poteva
permettersi carta e penna. Faceva l'operaio in fabbrica, e domandava
ai colleghi che gli leggessero i comunicati che giravano
clandestinamente. Li ripeteva fino a saperli a memoria, e la sera, a
casa, prendeva il carbone e ricopiava le lettere sul muro, una dopo
l'altra. Quando la parete era piena di scarabocchi passava una mano
di calce e ricominciava. Tornato a casa, Pirro ha scritto quella scena,
pure se non sapeva ancora di doverla chiamare così.
I riferimenti sono molto più bassi (lui è maturato facendo la guerra,
io leggendo i Peantus), ma a me era successa la stessa cosa. Da anni
ero certa di voler fare altro nella vita, quando ho scritto la prima
scena ho capito cosa. Scrivere scene mi piace al punto che non so
scrivere i soggetti. Ognuno ha una tecnica per scrivere i soggetti. Io
scrivo prima le scene una dietro l'altra e poi faccio il riassunto, e
quello è il soggetto. Un metodo funzionale come andare da Roma a
Napoli passando per Parigi.
Molti ottimi sceneggiatori nascono giornalisti, qualcuno - io no - era
addirittura un ottimo giornalista. Dall'esterno si è portati a pensare
che il passo sia breve, che sceneggiare equivalga a scrivere, a
raccontare storie attraverso le parole. Per me non è così: sceneggiare
è raccontare storie attraverso le immagini (e quindi, prima di tutto,
immaginare), è, come dice Suso Cecchi d'Amico, "Scrivere con gli
occhi". Suppongo che i più ci arrivino da soli ma per me è stata una
specie di rivelazione, come quando ho capito che De Gregori
ricantava certe canzoni che erano di Bob Dylan, e non viceversa.
D. "Il tempo di morire" ha vinto il primo premio Giovani
Sceneggiatori nel 2001, cosa è successo dopo, qual è stato
l'approccio con il mondo della Produzione per una giovane
scrittrice, che proposte hai ricevuto e a distanza di un anno a
che punto è la situazione produttiva, insomma vedremo presto il
film?
Ho avuto diverse proposte (per scoraggiare gli avidi: niente di
abbastanza remunerativo per cambiare qualcosa che non sia il
motorino), e ho ceduto la sceneggiatura a Rolando Ravello, uno che
ha tutte le caratteristiche della persona con la quale vorresti lavorare
(E' affidabile, bravissimo, gli piace Claudio Bisio...)
D. "Il Tempo di morire" è scritto come un cartoon, ed è una
soluzione molto originale per una commedia. Inevitabile è il
confronto con quello che è un vero e proprio genere
cinematografico nostrano, cioè la commedia all'italiana, spesso
costruita sul "realismo", con riferimenti molto forti alla realtà
contemporanea, cosa ti ha spinto a scegliere questo stile diverso
per raccontare la tua storia?
Posto che "I soliti ignoti" è una delle trentasette risposte diverse che
do alla domanda "Qual è il tuo film preferito", non è che quando
scrivo mi metto a pensare ai riferimenti e ai generi. Uno scrive e
basta, i riferimenti ce li ha dentro (quelli cinematografici mischiati a
tutti gli altri), non c'è, per quello che mi riguarda, tempo e voglia di
scegliere un genere. Esempio. Mi è capitato di scrivere una scena
strepitosa, ho telefonato a uno di cui mi fido e gli ho detto: "Senti
qua: quando il boss che si fa chiamare Dio sparge misticamente le
ceneri del vecchio nella discarica abusiva di famiglia il vento gliele
ributta tutte addosso!". Quello di cui mi fido non credeva alle sue
orecchie: "Ehm, è una scena del film dei Coen". Ovviamente, avevo
visto il film dei Coen, eppure mentre immaginavo la scena delle
ceneri ero convinta che fosse tutta farina del mio sacco, che fosse
una trovata assolutamente originale. Invece no, sono tutte cose che
montano dentro e vengono fuori quando e come meno te lo aspetti,
non solo mentre scrivi.
D. Penso che la caratteristica che contraddistingue il tuo scrivere
sia "l'ironia", insieme al "paradosso", pensi che sia possibile
oggi, produttivamente, un cinema costruito su queste due aspetti?
E me lo chiedi il giorno in cui l'ottimo Paolo Virzì racconta in
un'intervista a Repubblica come hanno segato le gambe al suo "My
name is Tanino", colpevole di aver tentato di infrangere il
monopolio-Medusa? Diciamo che spero che sia possibile un cinema
diverso, e lo dico prima di tutto spettatrice. Sui paradossi altri si sono
espressi meglio di me, vedi lo Sclavi che non mi stanco di citare ("I
paradossi sono l'unico modo per compenetrare il senso delle cose"),
ma quella del paradosso non è l'unica strada percorribile. Penso che
siano possibili tanti tipi di cinema, come sono possibili e auspicabili
tanti generi diversi nella letteratura e nella musica. Penso che ci sia
posto per (e bisogno di) Herzog e Virzì, Linch e Tarantino, "C'era
una volta in America" e tutti pazzi per Mary". Il mio caso è
semplice: sono passati tre anni da quando ho scritto la prima
sceneggiatura, faccio ancora la giornalista e ho accettato per soldi di
scrivere un film a quattro mani su Freud dopo aver visto Sogni
d'Oro. Se non facessi ricorso all'ironia e al paradosso non potrei
sopportare niente di tutto questo.
Ricordiamo infine che nella sezione Sceneggiature di questo sito potete
leggee e contattare la sceneggiatura vincitrice la prima edizione di
Francesca Fornario IL TEMPO DI MORIRE
Pubblicato nel sito nel 2001 - in Articoli - Interviste il 9 aprile 2002
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